giovedì 31 luglio 2008

Dostoevskij e il parricidio, S.Freud


Sigmund Freud nel saggio Dostoevskij e il parricidio scritto nel 1927, analizza la personalità di Fedor Michàjlovič Dostoevskij, che attraverso le sue opere riuscì a dar sfogo alla sua travagliata vita psichica.
Per Freud, Dostoevskij è sia scrittore che nevrotico, moralista e peccatore; si potrebbe supporre che l’aspetto più ‘aggredibile’ è quello etico in quanto manca l’elemento essenziale della moralità: la rinuncia. “Morale è chi già reagisce alla tentazione avvertita interiormente, e ad essa non cede”
[1]; infatti “egli finisce con l’approdare a una posizione retrograda: si sottomette sia all’autorità temporale sia a quella spirituale, venera per lo zar ma anche il Dio cristiano, coltivando in più un getto di nazionalismo” (ibidem, pag.521). Le caratteristiche fondamentali che delineano un delinquente (persona senza moralità) sono l’egoismo illimitato e la forte tendenza distruttiva, uniti dalla mancanza d’amore. Questa descrizione entra in contrasto con ciò che era lo scrittore russo, ma “la contraddizione si risolve rendendosi conto che la fortissima pulsione distruttiva di Dostoevskij, che avrebbe potuto farne facilmente un criminale, si dirige nella vita principalmente contro la sua stessa persona (si rivolge cioè all’interno anziché all’esterno), esprimendosi perciò sottoforma di masochismo e di senso di colpa” (ibidem, pag.522).
Freud prosegue il saggio argomentando come Dostoevskij fosse affetto da nevrosi e che i suoi attacchi epilettici fossero di natura affettiva (non organica); a questo riguardo inoltre afferma che “l’ipotesi più probabile è che gli accessi risalgano all’infanzia di Dostoevskij, che si siano manifestati dapprima mediante sintomi meno accentuati, e che abbiano assunto la forma epilettica soltanto dopo la terribile esperienza che egli fece a diciotto anni: quando morì suo padre assassinato” (ibidem, pag.525). Freud considera psicoanaliticamente questo evento il trauma più intenso, di Dostoevskij il perno della nevrosi; prosegue il suo ragionamento prendendo in considerazione il fatto che “fin dagli anni giovanili Fedor aveva l’abitudine, prima di addormentarsi, di lasciare dei biglietti sui quali era scritto che egli temeva di cader preda durante la notte di questo sonno simile alla morte, e pregava perciò di lasciar passare cinque giorni prima di seppellirlo”
[2]. Questo significa che Dostoevskij si identificava con una persona che desiderava morta, e questa persona viene considerata dalla psicoanalisi il padre e “l’attacco – definito isterico - è perciò un’autopunizione per il desiderio di morte nei confronti del padre odiato. Il parricidio è, secondo una nota concezione, il delitto principale e primordiale sia dell’umanità che dell’individuo” (Freud, 1927, pag.527).
Oltre al parricidio vi è un’altra fonte che contribuisce ad alimentare il senso di colpa: la bisessualità. Questa disposizione subentra nel momento in cui il bambino reagisce alla minaccia della sua virilità, rappresentata dall’evirazione, ponendosi nella posizione della madre e assumendo il suo ruolo di oggetto d’amore agli occhi del padre. “Una disposizione accentuatamente bisessuale diventa così un elemento che rende possibile e rafforza la nevrosi” (pag.528). Freud ipotizza questa predisposizione nel caso di Dostoevskij considerando l’importanza delle amicizie maschili nella sua vita e la dolcezza del suo comportamento verso i rivali in amore.
L’identificazione con il padre si inserisce all’interno dell’ Io; “Super-io è diventato sadico, l’Io diventa masochistico, ossia in fondo femminilmente passivo” (pag.529). In questa prospettiva gli “accessi simili alla morte” costituiscono un’identificazione dell’Io con il padre che viene “consentita a titolo punitivo dal Super-io” (pag.529). Fedor conservò negli anni il suo odio verso il padre, come mantenne il suo desiderio di morte verso questo genitore cattivo, che nel tempo peggiorava caratterialmente anziché migliorare. Se questi desideri rimossi si avverano, inevitabilmente la fantasia diventa realtà e di conseguenza tutte le misure difensive vengono potenziate. “A questo punto gli accessi di Dostoevskij assumono carattere epilettico, significano ancora l’identificazione punitiva col padre ma sono diventati terribili, come terribile è stata la morte spaventosa del padre”(pag.530). L’intenzione parricida costituì un vero e proprio peso di coscienza, che lo scrittore russo non riuscì ad elaborare nel corso della sua vita; per questo motivo anche il suo atteggiamento verso l’autorità statale e verso la fede in Dio, due sfere nelle quali il confronto del padre è determinante, fu influenzato. Dopo aver confrontato le differenti dinamiche di parricidio nei tre capolavori della letteratura di tutti i tempi (Edipo re di Sofocle, Amleto di Shakespeare e Fratelli Karamazov di Dostoevskij), Freud conclude la prima parte del saggio constatando come per Dostoevskij il criminale è un uomo che ha avuto il grande pregio di prendere su di sé la colpa di un delitto così atroce, delitto che altrimenti sarebbe messo in atto inevitabilmente da altri; “Uccidere non è più necessario dopo che egli ha già compiuto il delitto, ma bisogna essergliene grati, perché altrimenti avremmo dovuto uccidere noi stessi” (pag.534).

Nella seconda e ultima parte del saggio, Freud esamina la passione per il gioco dello scrittore russo. Il gioco era per lui un modo per punirsi, una volta che aveva perduto tutto poteva disprezzarsi e farsi umiliare; il fatto che volesse servirsi di questo rischioso metodo di guadagno per poter accumulare quantità di denaro più che sufficienti per poter vivere, era soltanto un pretesto; infatti “egli sapeva che l’essenziale era il gioco in sé e per sé, le jeu par le jeu” (pag.534), come scriveva in una delle sue lettere. La moglie lo seguiva in questi cicli di povertà e maggiore tranquillità economica, perché aveva capito che la situazione di miseria era una condizione ottimale per la produzione letteraria di Dostoevskij; “restava sempre al tavolo da gioco finché non aveva perduto tutto, finché non rimaneva completamente annientato. Solo quando la sciagura si era compiuta interamente il demone abbandonava la sua anima e lasciava posto al genio creativo” (Eckstein, Miller, 1925).
Freud conclude questo saggio prendendo in considerazione la novella “Ventiquattro ore dalla vita di una donna” di Stefan Zweig che tratta il tema della coazione a ripetere del gioco. “Se la passione del gioco, con le sue lotte vane e ingloriose per perdere il vizio e con occasioni che offre per l’autopunizione, ripete la coazione onanistica, non ci stupiremo che tale passione si sia conquistata un posto così importante nella vita di Dostoevskij” (Freud, 1927, pag.537).
[1] Freud S. (1927) Dostoevskij e il parricidio, in OSF,vol. 10, pag.521.
[2] F.Eckstein, René Fülöp-Miller (a cura di), Dostojewski am roulette, [Dostoevskij alla roulette], (Monaco 1925).

3 commenti:

Anonimo ha detto...

Ciao sono un lettore accanito. Ho finito giusto oggi la lettura dei "Fratelli Karamazov" ultimo "mattone" di Dostoevskj nel quale non mi ero ancora imbattuto. Il saggio finale di Freud allegato all'edizione Einaudi mi ha colpito e quindi mi sono avventurato in rete per capire se qualcuno aveva pareri in merito. Il tuo post non si sbilancia ma ne approfitto per dire la mia. Vengo al punto:(considerando che ho appreso che studi psicologia). Ho trovato il saggio di Freud (al quale ovviamente mi inchino) pregiudizialmente schierato. Le considerazioni fatte circa l'atteggiamento di F.D. nei "Fratelli karamazov" che, a dire di Freud, sarebbero emblematiche e comprovanti l'approdo di FD ad una posizione retrograda mi lasciano comunque perplesso perchè io leggendo il romanzo ho avuto la sensazione che, al contrario, nel suo intimo FD abbia proprio volutamente lasciato irrisolta la tensione tra il moralista (da S.F. fatto coincidere con colui che rinuncia) e il peccatore.
Ciao
Alessandro

Lauce ha detto...

Ciao Alessandro, in questo post ho semplicemente esposto i contenuti del saggio di Freud, e hai ragione nel dire che non mi sono sbilanciata. Freud ha affrontato il tema del parricidio in Dostoevskij dal punto di vista psiconalitico, quindi concordo con te quando dici che è pregiudizialmente schierato...la Psicoanalisi è una delle tante mappe di lettura, non è la Verità.

Personalmente ritengo che Dostoevskij abbia lasciato irrisolta la tensione tra il moralista e il peccatore perchè non aveva scelta, in quanto non sapeva venire a capo della questione.
Dai suoi capolavori e da quello che è stato scritto su di lui, ho dedotto (seguendo una mappa di pensiero personale) che Dostoevskij era un uomo molto complesso, e che ha gestito le sue forti esperienze in modo originale, amalgamando i suoi vissuti (di gioia e spensieratezza, ma soprattutto di angoscia e di aggressività) con i suoi pensieri, fondendo insieme il passato, presente e futuro, reagendo impulsivamente, e vivendo all'insegna dell'ambivalenza.
Vedendola in questo modo comprendo perchè Dostoevskij non poteva risolvere la tensione tra il moralista e il peccatore...in fondo era sia moralista che peccatore contemporaneamente!

Freud risolve questa contraddizione applicando la teoria psicoanalitica a quello che era lo scrittore russo, io credo che questa contraddizione appartiene a Dostoevskij...e che non debba necessariamente essere risolta per poterlo capire.

Laura.

Lapillo+ ha detto...

Sono un tipico esempio di delinquenti nevrotici per senso di colpa i soggetti cleptomani, i piromani ed i soggetti affetti da pseudologia fantastica o bugiardi patologici, con riferimento a quella tendenza morbosa al mentire che si manifesta nella formulazione di racconti immaginari ai quali l'autore stesso tende a credere e che possono agevolare la commissione di reati di truffa, falso e plagio. Si tratterebbe di soggetti nevrotici la cui vita si svolge spesso in forma spettacolarmente drammatica, spinti da un lato da incontrollabili impulsi inconsci verso il crimine, la cui commissione li alleggerirebbe da un senso di colpa di origine ignota, e dall’altro lato costantemente accompagnati da ben consapevoli desideri di voler essere puniti, che si renderebbero palesi nel comportamento di non volersi sottrarre all’ eventuale arresto... semicit. Franz Alexander